mercoledì 7 agosto 2013

Cinquanta sfumature di Pentateuco: Esodo.

(segue dal primo capitolo: Genesi)

Libro II: Esodo
     Alla fine della Genesi, gli Ebrei si sono stabiliti in Egitto. Qui vivono in pace ed anzi proliferano come conigli, tanto che il faraone stesso comincia a preoccuparsi del loro numero; così decide di applicare una misura analoga a quella per cui, ancora ai tempi nostri, capita che le ragazze abbiano diritto ad entrare gratis in discoteca: ordina alle levatrici di sterminare ogni maschio che venga alla luce. Ma Mosè, partorito da una donna della casa di Levi che "vedendo che era così bello, lo tenne celato per tre mesi" (2, 2), viene messo in salvo in una cesta ed affidato alle correnti del Nilo. A ripescarlo è niente meno che la figlia del faraone; la quale decide di tenerlo ed anzi lo fa allattare da una balia ebrea, che a quanto leggo è proprio "la madre del bambino" (2, 8). Insomma, è un peccato che questo Mosè non abbia mai giocato al Superenalotto.
     Il nostro eroe riesce dunque a scampare alla morte e diventa adulto. Un giorno, mentre è a spasso, "vide un egiziano percuotere un ebreo, uno dei suoi fratelli. Egli allora si voltò di qua e di là; e, visto che non c'era nessuno, uccise l'egiziano e lo nascose nella sabbia" (2, 11-13). A sua discolpa, dobbiamo ricordare che non aveva ancora ricevuto il Decalogo, dove si legge a chiare lettere il comandamento: 'non uccidere'. Poi però, preso male, decide di fuggire nel paese di Madian e qui rimane fino all'allegra teofania del roveto ardente, allorché Dio in persona si manifesta per dargli istruzioni.
- Missione primaria: tornare in Egitto e convincere il faraone a liberare l'intero popolo ebraico.
- Missione secondaria: provocare il maggior numero possibile di danni collaterali per dimostrare a tutti la gloria del Signore.
     Il buon Dio - mitomane quanto vogliamo, ma pur sempre onesto - lo premette fin da subito: "io permetterò che il faraone indurisca il suo cuore, e così avrò modo di moltiplicare i miei prodigi e i miei portenti nella terra d'Egitto. Tuttavia, il faraone non vi darà ascolto. Ma io farò sperimentare all'Egitto la mia potenza e libererò da questa terra le mie schiere, il mio popolo, i figli d'Israele con grandi castighi" (7, 3-4). E infatti dieci piaghe colpiscono la nazione. Ogni volta il faraone sembra sul punto di lasciar partire gli Ebrei; ma poi, sistematicamente, ci ripensa: guarda caso perché qualcuno "permette che suo cuore s'indurisca sempre di più" (la formula ricorre, quasi identica, al termine di ogni flagello). Abbiamo dunque l'acqua del Nilo mutata in sangue, l'invasione delle rane, le zanzare (vabbè), i tafani, la morìa del bestiame, le pustole, la grandine, le cavallette, le tenebre, e finalmente la morte dei primogeniti. "Ogni primogenito morrà nel paese d'Egitto, dal primogenito del faraone, che siede sul trono, al primogenito della schiava che attende alla macina, come pure ogni primogenito degli animali" (11, 5): personalmente credo che gl'importasse una sega degli Ebrei, ai primogeniti della sguattera o del suo gatto. E tuttavia, come si dice, la legge è uguale per tutti.
     Alla fine, anche quel duro del faraone deve arrendersi all'evidenza: o gli Ebrei sono sotto la protezione di una divinità potente e scontrosa, oppure portano decisamente sfiga. Così li lascia partire, non prima che questi abbiano dato una bella dimostrazione di sportività derubando i loro ospiti di vesti e preziosi: "Perché il Signore stesso aveva fatto entrare il suo popolo nelle grazie degli Egiziani, i quali ben volentieri gli avevano prestato quelle cose: e così spogliarono gli Egiziani" (12, 36). Chiamiamolo pure Tfr. D'altra parte, chiosa simpaticamente il curatore della mia edizione della Bibbia, "Dio è padrone assoluto del mondo e di quanto contiene, quindi libero di darlo a chi crede."
     Tuttavia non finisce qui; nuovamente bisognoso di cercare conferme alla propria onnipotenza, questo Dio ancora poco pratico nelle finezze psicologiche che costituiranno la sua fortuna dal Nuovo Testamento in poi, riattacca con la solita solfa: "Ed io permetterò che il cuore del faraone si ostini, sicché egli li inseguirà, ma farò risplendere la mia potenza contro il faraone e contro tutto il suo esercito" (14, 4). E così accade: nel gran finale che tutti conosciamo, dopo che il Mar Rosso si è spalancato per lasciar passare gli Ebrei in fuga, le sue acque si richiudono sul sovrano e sul suo seguito.
     Grandi feste, manna dal cielo, fonti miracolose che sgorgano in pieno deserto: per gli Ebrei è un'autentica pacchia. Nemmeno in battaglia han di che preoccuparsi, come dimostra lo scontro con la tribù degli Amaleciti. "Or, avveniva che quando Mosè teneva alzate le mani, vinceva Israele; ma, quando egli le abbassava, vinceva Amalec. Siccome le mani di Mosè si erano stancate, Aronne e Hur presero una pietra e gliela misero sotto, ed egli ci si pose a sedere mentre loro gli sostenevano le mani, uno da una parte e uno dall'altra. Così le mani di Mosè rimasero ferme fino al tramontar del sole" (17, 11-12). M'immagino le risate. Il solito curatore della mia Bibbia, sempre pronto a cogliere il significato simbolico degli eventi storici ivi fedelmente riportati, va in brodo di giuggiole: "Ecco che cosa fanno e che cosa possono le mani dei sacerdoti in preghiera, specialmente nell'istante in cui levano in alto l'Ostia consacrata, presentando a Dio Padre suo Figlio sacrificato per noi, che ha un potere d'intercessione immensamente superiore al condottiero degli Ebrei". Non serve neanche il tiro-salvezza.
     Dopo tre mesi di vagabondaggi nel deserto, gli Ebrei raggiungono il Sinai. Anche all'interno del popolo eletto, c'è chi è più eletto degli altri: così Dio chiama Mosè sul monte, ma lo istruisce sui protocolli di sicurezza che dovranno impedire a chiunque altro di avvicinarsi al suo cospetto. "Metterai dei termini per il popolo, intorno al monte, e gli dirai: guardate di non salire sul monte, né di toccarne la base; chi toccherà il monte sarà fatto morire. Però nessuno tocchi con la sua mano quel tale, ma si lapidi o si saetti; tanto l'animale che l'uomo, non sia lasciato vivo" (19, 12-13). Tornato tra la sua gente, Mosè riferisce fedelmente le parole del Signore, invitando tutti a tenersi pronti perché di lì a tre giorni Dio si sarebbe manifestato; e, già che c'è, aggiunge di sua iniziativa: nel frattempo "non vi accostate a donna" (19, 15). Non si sa mai.
     Come predetto, tuoni e lampi si scatenano sul Sinai; in vetta al quale, nascosto da una spessa cappa di nubi, Mosè riceve i comandamenti: che in realtà sono ben più estesi di quelli riassunti nel celebre Decalogo, e si dilungano in tutta una serie di minuziose istruzioni. Alcuni sono semplici inviti al buon senso; per esempio, Dio raccomanda di "non salire per gradini al mio altare, affinché non si scopra sovr'esso la tua nudità" (20, 26). Altri sono invece precetti che spaziano dal diritto civile a quello penale. Vale la pena di ricordarne alcuni.
- "[...] richiederai vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, ustione per ustione, ferita per ferita, lividura per lividura" (21, 23-25).
- "Se il ladro, di notte, è colto nell'atto di scassinare ed è percosso e muore, non vi è delitto di sangue; ma se il sole s'era già levato, vi è delitto di sangue" (22, 1-2).
- "Non lasciar vivere la maliarda. Chi giace con una bestia sia messo a morte" (22, 17-18).
- "Non cuocere il capretto nel latte di sua madre" (23, 19); perché, come ci fa notare il solito, illuminante curatore, "cibarsi di animali è lecito; ma cuocerli nel latte che avrebbe dovuto nutrirli, sa di crudeltà".
     Segue anche un'interminabile, pedantissima descrizione di come dovranno essere realizzati il tabernacolo, i paramenti sacerdotali, gli altari, le vasche, eccetera: pagine e pagine per elencare misure, materiali, colori, istruzioni di montaggio. Roba che viene veramente voglia di rispondere: sei Dio, cazzo; crèali. O, per lo meno, fammi un disegno.
     In tutto questo, mentre Mosè prende nota di ogni cosa e sottoscrive il patto di eterna alleanza con cui l'Onnipotente s'impegna a proteggere gli Ebrei e a distruggerne i nemici, purché siano rispettate le sue leggi ed evitata ogni forma d'idolatria, Aronne (portavoce di Mosè e capostipite della futura classe sacerdotale) costruisce un vitello d'oro e lo venera come dio liberatore (32, 4) insieme al resto del popolo. Un epic fail che costerà agli Ebrei circa tremila esecuzioni sommarie (32, 28) e quarant'anni di peregrinazioni addizionali nel deserto.

(continua)

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